Il parlamento di Strasburgo chiede il riconoscimento in tutti i
Paesi. Dopo aver perso la sovranità economica, ora rischiamo di farci
imporre l’etica
Roma – L’hanno definita una provocazione. Uno slogan da campagna
elettorale anticipata. Eppure il no di Angelino Alfano ai matrimoni gay è
divenuto ieri di stretta attualità. A Strasburgo, infatti, l’assemblea
plenaria ha bocciato un emendamento presentato dal gruppo del Partito
popolare europeo che chiedeva di respingere alcuni passaggi del rapporto
presentato dalla deputata liberale Sophie In’t Veld sulla
discriminazione sessuale e su come combatterla. I passaggi risultati
indigeribili ai Popolari europei sono quelli in cui si chiede appunto
alla Commissione Ue di elaborare proposte per il riconoscimento
reciproco delle unioni omosessuali tra gli Stati membri che già le
ammettono e al Consiglio europeo di «riaffermare il principio di uguale
trattamento senza distinzione di religione o credo, disabilità, età o
orientamento sessuale».
«Il minimo che possiamo fare nell’Ue – aveva detto la stessa
parlamentare olandese In’t Veld nel settembre scorso – è applicare il
principio di mutuo riconoscimento. Lo facciamo per la marmellata, il
vino, la birra: perché no per i matrimoni e le relazioni personali?»
Insomma i governi europei, secondo il Parlamento di Strasburgo, non
devono dare «definizioni restrittive di famiglia». E a ratificare questa
nota di indirizzo sono stati 342 parlamentari (i no si sono fermati a
322).
Che a Bersani piaccia o meno, il tema delle unioni omosessuali entra
quindi a pieno titolo nell’agenda politica interna. E si deve
necessariamente guardare a quanto accade fuori dai nostri confini per
calibrare al meglio il dibattito. I paesi dove due uomini o due donne
dello stesso sesso possono convolare a nozze sono il Belgio, l’Olanda,
il Portogallo, la Spagna, la Danimarca e la Svezia. E dal 15 giugno
prossimo nel paese di Amleto sarà possibile celebrare nozze gay anche in
chiesa. Il governo del primo ministro Helle Thorning-Schmidt ha infatti
completato la messa a punto della legge: «È una mossa naturale e
corretta per una Danimarca moderna» ha commentato. I singoli pastori
della Chiesa luterana potranno, però, rifiutarsi di celebrare matrimoni
religiosi tra persone dello stesso sesso. Sull’argomento si è
pronunciato, Oltremanica, anche l’ex premier Tony Blair.
Nonostante la sua conversione cattolica di pochi anni fa, l’ex primo
ministro laburista si è espresso non solo per le unioni civili tra
esponenti dello stesso sesso (divenute possibili per legge proprio sotto
il suo ultimo governo nel 2005) ma anche per la loro celebrazione in
chiesa. Un tema questo su cui il governo Cameron intende aprire presto
una consultazione pubblica, visto che la strada per la nuova
disposizione non è spianata. L’ultimo sondaggio pubblicato a Londra
rivela infatti che più della metà degli elettori conservatori sono
contro il cambiamento.
E da noi? Il voto di ieri a Strasburgo ha riacceso gli animi di chi
si è da tempo impegnato per consentire alle persone dello stesso sesso
di unirsi in matrimonio. «Dopo le inutili polemiche, tutte italiane, è
Strasburgo a darci una grande lezione di civiltà» sentenzia Anna Paola
Concia (Pd). «Il voto netto del Parlamento europeo – aggiunge Franco
Grillini (Idv) – ci dice una cosa molto semplice: l’Italia nei fatti è
fuori dall’Europa dei diritti e delle libertà e la destra italiana
rappresenta il vero ostacolo alla modernizzazione del Paese».
«L’unità europea – ribatte Carlo Giovanardi (Pdl) – rischia di
frantumarsi nella coscienza dei popoli per iniziative come quella della
radicale olandese In’t Veld che vuole imporre, contro quanto stabilito
chiaramente dai trattati, il riconoscimento dei matrimoni gay.
Sudditanza al mercato e deriva relativista sembrano essere ormai gli
unici idoli a cui sacrificare questo grande ideale, che rischia di
essere sempre più lontano dai valori più radicati di decine di milioni
di europei».
Gli fa eco l’eurodeputata della Lega Nord Marta Bizzotto: «Se il
Parlamento europeo e la Commissione, dopo aver imposto direttive e
regolamenti assurdi, pensano di cambiare anche la definizione di
famiglia, si sbagliano di grosso».
Il Giornale